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La stampa in tempo di guerra 
 
 
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LA STAMPA IN TEMPO DI GUERRA 
Durante l'occupazione anglo-americana fu emessa una cartamoneta che dalla sigla dell'ente emittente "Allied Military Government" fu nota col termine di "AM-lire" La serie 1943 comprende i tagli da 1, 2, 5, 10,50,100, 500 e 1000 lire
AM-lire
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Al momento dello sbarco in Sicilia gli Alleati avevano solo un vago programma di ricostruzione del tessuto culturale e dei sistema dell'informazione. E per giunta lo avevano improntato al fatto innegabile che stavano per mettere piede in un paese nemico. La prima misura era dunque la più radicale: la soppressione della stampa che il regime fascista aveva trasformato in uno strumento di propaganda e di mobilitazione del consenso. Questo modello di giornalismo avevano davanti gli Alleati quando arrivarono in Sicilia. Era abissale la distanza dalla moderna industria dell'informa zione anglo-americana governata dalle regole di una democrazia matura.  
L'Amgot, il governo militare alleato dei territori occupati, vietò quindi sia le attività politiche sia la pubblicazione e la diffusione di giornali e riviste non autorizzati. Il controllo e l'organiz zazione della stampa e della radio erano affidati al Pwb (Psycological Warfare Branch) che, alla vigilia dello sbarco e anche dopo, aveva arruolato giornalisti di origine italiana e altri che avevano lavorato in Italia prima della guerra. La Sicilia divenne così luogo di incubazione di un modello che sarebbe stato riprodotto altrove, con le stesse regole e gli stessi criteri, durante la risalita delle truppe anglo americane lungo la penisola. Si può senz'altro convenire sul fatto che fu un "esperimento unico nella storia del giornalismo e forse unico nella storia della guerra". 
lo sbarco 
Il Pwb si riservò il compito di elaborare e distribuire il notiziario generale. Svolgeva in sostanza, in via esclusiva, i compiti di un'agenzia di stampa contrassegnata dalla sigla Unn (United Nations News Servite). A nessun'altra agenzia di stampa, neppure alle maggiori inglesi e americane, fu consentito di distribuire nei territori italiani occupati il proprio notiziario. In ogni giornale un funzionario dei Pwb, che poi era un militare, aveva la responsabilità di tutto ciò che veniva pubblicato.  
 
Il sistema di informazione che il Pwb riuscì a riattivare, quando ancora infuriavano i combattimenti, era nella prima fase costituito da un quotidiano, "Sicilia liberata"'e da Radio Palermo che riprese a trasmettere la sera del 6 agosto. "Sicilia liberata" uscì lo stesso giorno e, raccontano le cronache, andò subito esaurita tanto che si dovette organizzare una ristampa del primo numero diffusa poi 1'11 agosto. In giro c'era tanta fame di informazione e tanto bisogno di respirare aria nuova. Perciò le notizie avevano nell'impostazione del giornale, giustamente, la preminenza rispetto all'esigenza di delineare un programma e una linea editoriale alla quale per la il titolo di testa della prima pagina. Ma il giornale doveva in qualche modo raccontare e spiegare cos'era accaduto dopo lo sbarco. Affidò questo compito a un articolo che dava conto delle festose accoglienze alle truppe dei "liberatori" e del ritorno della vita civile "al suo ritmo normale di lavoro e di opere".  
In tutte le pubblicazioni controllate dal Pwb c'era sempre una colonna di "news in English": una sorta di sommario delle notizie principali destinato alle truppe angloamericane che avevano già i propri fogli e le proprie riviste. 
alleati in città.... 
Patton si rivolgeva per la prima volta ai siciliani attraverso un giornale per rassicurarli sulle intenzioni degli Alleati. Il loro obiettivo era quello di riportare la democrazia e la libertà mantenendo l'unità territoriale. In linea con quanto aveva sempre sostenuto Gaetano Salvemini nei suoi scritti dall'America, Patton faceva una netta distinzione tra il popolo e il regime. Lo stesso comandante in capo Dwight D. Eisenhower aveva ribadito, al momento dello sbarco, che gli Alleati non venivano come "nemici". Il loro obiettivo, spiegava, era di "liberare il Popolo d'Italia dal regime fascista che lo ha trascinato in guerra e, ciò compiuto, di ristorare l'Italia come nazione libera". Il messaggio di Patton su "Sicilia liberata" riproponeva la stessa assicurazione: "Lo scopo degli Stati Uniti, sotto la guida del nostro grande Presidente, Franklin D. Roosevelt, non è quello di rendere schiavi ma di liberare quei popoli del mondo che hanno sofferto per venti anni sotto la malefica influenza del Fascismo e del Nazismo".  
 
Sullo stesso numero di "Sicilia liberata" era riportata la notizia della ripresa delle trasmissioni di Radio Palermo. L'annuncio del Pwb era dato con "orgoglio" dichiarato. Quella che tornava a vivere non era più la radio del regime. Cambiavano il registro della comunicazione, il linguaggio e in misura più prudente lo stile. Il dato più importante era comunque il ritorno di una voce che, più della stampa, era necessaria a mantenere aperto un canale di comunicazione con gli invasi o i "liberati". E di questo gli Alleati erano tanto convinti da assegnare proprio alla radio una parte essenziale nella loro strategia di propaganda e di persuasione. Quando radio e quotidiano videro la luce non era ancora passato neppure un mese dallo sbarco. I combattimenti infuriavano ora nell'area dello Stretto e sarebbero passati altri dodici giorni prima che l'ultimo soldato dell'Asse lasciasse la Sicilia.  
Cambiò l'informazione e cambiarono le abitudini di ascolto di molti siciliani. Per sapere come andavano le operazioni militari non solo in Sicilia ma sui tanti fronti di guerra non fu più necessario sintonizzarsi di nascosto con Radio Londra per sentire il commento del colonnello Harold Stevens. Le prime "trasmissioni non fasciste", come le aveva subito definite "Sicilia liberata", duravano all'inizio solo quattro ore (dalle 20 alle 24) quando Radio Palermo si presentava come la 'Voce delle Nazioni Unite". Ma poi assunse la denominazione di "Avamposto dell'Italia liberata", un po' pretenziosa ma indubbiamente più aderente alla posizione assegnatale: vicino alla linea di fuoco, la sua funzione era in prima battuta orientata verso il sostegno all'impegno militare. E perciò diffondeva (celebre la rubrica "Italia combatte" poi trasferita nelle altre emittenti) anche proclami, messaggi in codice e appelli alla resistenza.