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Pesca costa siciliana
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Il metodo di pesca utilizzato sulla riviera siciliana dello Stretto venne efficacemente descritto da Placido Reina, storico messinese del Seicento: «. . .Tengono dunque vicino terra due barche surte su l’ancore, l’una lontana dall’altra, quant’è una tirata di mano, e su l’antenne di esse, che sono di palmi ottanta di altezza, e fatte in modo di scale a piroli per salirvi con facilità, vi stanno i guardiani. Devono costoro attentamente guardare non già nella superficie, ma nel corpo del mare, se passa il pesce spada, che ordinariamente scorra suole otto palmi sott’acqua, e tal’ora molto più insino a venticinque, e discuoprendone icuno, deono co’ gridi e con la mano mostrano a quei dei luntre, i quali, in avere il cenno rattamente piglian voga inverso il pesce, seguendolo per tutti i versi in quell’oblique giravolte, ch’egli suoi fare».
Questa tecnica rimarrà immutata nel tempo per oltre quattro secoli, cioè sino ad un paio di decenni addietro, come fanno fede le innumerevoli descrizioni successive a quella del Reina, dalle quali risulta evidente che la pesca dcl pesce spada con «luntro» e «feluca» si è sempre svolta in maniera tradizionale, senza variazione alcuna.
L’imbarcazione da posta e da avvistamento adoperata in Sicilia per questa pesca è giunta sino ai nostri giorni col nome tipico di feluca,, ed ancor oggi l’imbarcazione motorizzata munita di passerella ed albero di avvistamento (ben diversa dalle «barche surte su l’ancore» del Seicento) viene chiamata «feluca» dai pescatori e dalla gente di mare. Questa denominazione, tuttavia, non indica affatto l’origine araba del tipo di pesca in discorso (come sostiene qualcuno), sibbene il fatto che per l’avvistamento certamente fu utilizzato Io scafo dell’omonimo natante, che, fra il Cinquecento ed il Settecento era assai diffuso in Sicilia per il piccolo cabotaggio ed il traffico passeggeri a breve raggio.
Fu proprio questo, a nostro parere, il natante utilizzato dai pescatori siciliani dello Stretto per creare i caratteristici «osservatori galleggianti», indispensabili per l’avvistamento del pesce spada e per la sua cattura. A tale scopo la feluca presentava all’epoca le caratteristiche più adatte: dimensioni alquanto contenute e nello stesso tempo sufficienti a fornire spazio idoneo all’equipaggio ed alle attrezzature di pesca; ampia capienza per la conservazione delle prede fino al momento del loro trasporto in terra ferma; ottima stabilità anche in presenza dell’altissimo e pesante albero di avvistamento (lungo 18-22 metri), pur se agevolata dalla zavorra costituita da pietre e sacchi di sabbia; costo alquanto contenuto trattandosi di scafo assai diffuso e costruito con legname «povero» (specialmente pino delle foreste di Bagnara) dagli attrezzati cantieri calabro-siculi dell’area dello Stretto.
A questo proposito non va dimenticato che il fattore «costo» dell’ imbarcazione-osservatorio era determinante per rendere economicamente proficua la pesca del pesce spada: la barca, infatti, una volta trasformata per tale compito, non era ovviamente più adatta per altre attività, sicché il suo periodo di utilizzabilità si limitava a due soli mesi l’anno (quanto cioè durava la campagna di pesca del pesce spada). Ancora oggi del resto le feluche motorizzare (o «passerelle») vengono sfruttate dai pescatori dello Stretto per un periodo di tempo assai limitato, sia pure alquanto più lungo che nell’antichità.
La trasformazione di una feluca da traffico in natante da «posta» era alquanto semplice: si trattava di privarla delle sue strutture originarie e dell’armamento di navigazione, munendola quindi di una pontatura integrale da prora a poppa.
Sulla coperta, a partire da mezza nave e andando verso poppa, veniva praticata una apertura pressoché triangolare, attraverso la quale si poteva accedere ad una stiva di altezza assai modesta (utilizzata peraltro solo per riporvi la zavorra); per questa apertura passava poi il lungo albero, alto 80 palmi, che finiva in una scassa costituita da un solido e robusto blocco di quercia fissato al paramezzale. L’albero era munito di una rudimentale scala costituita da una serie di pioli di legno (posti a 50 cm. l’uno dall’altro), ciascuno trattenuto alle estremità da due cime annodate, le quali dal posto di osservazione scendevano fino in coperta. Il mezzo era certo scomodo ma sicuro per l’avvistatore (detto «antenniere») che doveva salire fino sulla cima dell’albero ed «ivi restare per quattro ore di seguito per fare la scoperta del pesce...», senza alcun ristoro se non un sorso d’acqua, essendo per consuetudine proibito mangiare durante il turno di guardia. L’antenniere svolgeva il proprio difficile compito con eccezionale diligenza, ben orgoglioso della proprie doti fisiche, poggiando i piedi su una tavola di legno posta trasversalmente all’albero, il cui tratto terminale gli serviva da sostegno per non cadere. L’albero (o antenna) era infine assicurato con grosse cime collegate (a prora, a poppa e lateralmente) ad apposite caviglie di legno inserite dall’interno della falchetta, la quale a sua volta, con un’altezza di circa 20 cm., correva lungo tutta L’imbarcazione. La feluca da posta non aveva alcun mezzo di propulsione autonomo, anche perché essa era destinata a stazionare ben ormeggiata nelle specifiche zone di mare (dette per l’appunto poste) a lei assegnate per sorteggio. Per raggiungere queste, le feluche venivano rimorchiate dagli stessi luntri di servizio (in genere due per ognuna di esse); tuttavia, qualora soffiasse vento particolarmente favorevole per direzione e intensità, per gli spostamenti si utilizzava una piccola vela latina issata sul grosso albero centrale.
Con simili mezzi, tanto semplici quanto efficaci, i pescatori dello Stretto hanno per secoli dato la caccia allo «spadaccino del mare, sempre con le stesse armi, sempre con lo stesso spirito, sempre con la stessa tecnica fatta di coraggio, forza, pazienza e abilità: quasi un rito misterioso i cui segreti vennero gelosamente tramandati di padre in figlio, fino ai nostri giorni. Oggi il motore – dominatore dell’era moderna – stato applicato alla feluca con risultati sorprendenti e impensabili. Svanita ogni ombra di romanticismo e di mistero, la «caccia» ha subito perso il proprio carattere rituale per assumere quello ben più pratico di semplice affare commerciale, mostrando al povero pesce spada, già oggetto di carmi e dispute letterarie, la sua unica e vera destinazione: materia prima per un ottimo arrosto!
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