|
|
Pesca costa calabra
|
.......................................................................................................................
Il metodo di pesca utilizzato sulla costa calabra, descritto dallo storico greco Polibio (e riferito da Strabone), risale quantomeno al secondo secolo a.C. Esso sfruttava per l’avvistamento le alture rocciose a picco nel tratto di costa fra Scilla, Bagnara e Palmi, su ognuna delle quali era sistemato un uomo dalla vista acutissima, il quale da una altezza variante fra gli 80 ed i 150 metri, poteva controllare un ampio specchio di mare, corrispondente ad una «posta» ben determinata nei suoi confini. L’avvistatore, nello scorgere il pesce, ne segnalava la presenza (con grida e con i movimenti di una banderuola) all’equipaggio di una piccola speciale imbarcazione chiamata «luntro», che si trovava in attesa ai piedi di ogni osservatorio e che si lanciava velocissima nella direzione indicata. Mentre la vedetta sull’altura continuava a fornire a voce indicazioni sulla posizione del pesce, il compito di dirigere con più precisione il «luntro veniva assunto da uno dei pescatori imbarcati, il quale saliva su un alberello sistemato al centro del piccolo natante e faceva in modo che il lanzaturi giungesse a distanza utile dalla preda. A quel punto il pesce veniva arpionato pressoché con la medesima tecnica e con lo stesso attrezzo adoperato oggigiorno.
Questa imbarcazione, il cui nome tipico deriva verosimilmente dal termine latino «linter» (barchetta), all’epoca di Polibio e Strabone (cioè fra il secondo secolo a.C. e il primo secolo d.C.) era un minuscolo natante il cui equipaggio si componeva di due soli uomini, un rematore ed un lanciatore sistemato a prora; la velocità doveva essere assai scarsa e quindi molto limitata la relativa efficacia operativa. Infatti la tecnica di pesca del tempo non era basata sulle sue possibilità di attacco, ma più che altro sulla probabilità che il pesce spada venisse sorpreso fermo in affioramento o si avvicinasse incautamente ad una delle tante imbarcazioni in agguato. Invece la fonti storiche del Cinque- Seicento descrivono il luntre come barca «da attacco», condotta da più rematori e velocissima, in grado di operare isolatamente col solo ausilio di una vedetta e di inseguire con successo il pesce spada durante le sue evoluzioni, navigando anche contro corrente (è noto che le correnti dello Stretto sono spesso fortissime e raggiungono anche i sette nodi). Infatti questo singolare natante acquista la forma definitiva e La propria individualità verso la metà del Seicento, allorché vengono indicate con esattezza le dimensioni del «Luntre», le sue attrezzature, l’armamento e la tecnica d’impiego, rimasti inalterati fino ai nostri giorni. Da tale periodo in poi esso rimane una tipica imbarcazione dello Stretto di Messina, specificamente concepita e utilizzata per la cattura del pesce spada. Agile ed elegante, il luntro era lungo 24 palmi (m. 6,24), largo poco più di 6 palmi (m. 1.65), alto di costruzione cm. 80. Portava al centro un alberello (garriere o farere), leggermente piegato all’indietro, alto m. 3,50, sul quale un avvistatore (farirotu) saliva a mezzo di alcune tacche in legno di forma circolare chiamate rutedde; da qui l’uomo teneva il pesce avvistato sotto attento controllo nella fase di avvicinamento, indicandone esattamente i movimenti e la posizione ai rematori. I suoi comandi venivano impartiti con parole convenzionali, quasi delle formule rituali, che fino ai primi dell’Ottocento erano greche odi chiara etimologia greca (manosso va fuori; manano a mano destra: mancato a mano sinistra; stinghela viene in terra).
Opportuno precisare a questo punto che il «luntro» aveva una curiosa caratteristica: avanzava di poppa, sulla quale era sistemato il lanzaturi. I motivi di tale stranezza non sono noti, ma tuttavia intuibili. La poppa innanzitutto, rispetto alla prora, forniva al lanciatore una superficie di appoggio più vasta e più stabile, oltreché più vicina al pelo dell’acqua; certamente poi l’esperienza avrà suggerito sin dall’antichità ai pescatori l’intuizione di un noto principio di idrodinamica, affermatosi universalmente solo in tempi moderni con l’adozione della «prora a bulbo (che consente di realizzare – a parità di velocità – un notevole risparmio di energia motrice). I disegni e la tradizionale denominazione della varie parti del luntro, tengono chiaramente conto di questa particolarità del natante: per esempio il remo più vicino al lanciatore è detto «remu di puppa», evidenziando il fatto che egli si trova proprio a poppa e non già a prora, come potrebbe apparire. È chiaro quindi che anche nel corso di questa descrizione indicheremo per «poppa» la parte dell’imbarcazione che avanza.
Il lanciatore aveva a propria disposizione due attrezzi, «ferru» e «draffinera», impiegati per l’arpionatura, a seconda del tipo di cattura, più o meno come ai nostri giorni. Gli arpioni venivano tenuti appoggiati a due speciali supporti fissati a ventaglio alle murate di poppa, uno per parte, chiamati maschitti.
La propulsione di questa strana imbarcazione era assicurata da quattro lunghissimi remi: due a poppavia dell’alberello, lunghi entrambi m. 4,68, chiamati uno «remu di puppa» e l’altro «remu ‘nto menzu»; due a prora (cioè dal lato opposto a quello del lanciatore), chiamati rispettivamente «stremu» e «paledda», lunghi m. 5,72 il primo e m. 5,46 il secondo. Questi due ultimi remi erano evidentemente di enormi dimensioni rispetto alla lunghezza della barca ed avevano la importante funzione di comandarne la direzione seguendo i guizzi e le giravolte del pesce. Essi trovavano fulcro all’estremità di due eleganti bracci, sporgenti dai fianchi del «luntro. per circa 80 cm., chiamati «antinopuli. oppure «anchinopuli». I rematori, fino a tutto l’Ottocento (e sporadicamente anche nei primi anni del Novecento) erano cinque; la barca si diceva allora «armata a croce» ed in tal caso, mentre i due remi prodieri venivano manovrati, uno per ciascuno, da altrettanti uomini, gli altri due remi erano azionati da tre pescatori seduti sulla stessa panca. Per questo il relativo sistema di voga era chiamato in gergo a ‘ssittata: il vogatore centrale (detto mezziere) aveva la funzione di aiutare, secondo le necessità dell’inseguimento, ora il rematore di destra, ora quello di sinistra. Ciò comportava, a parte la maggiore forza propulsiva, una singolare celerità di virata.
|
|
E' vietata la riproduzione anche parziale senza l'autorizzazione della Redazione
Si ringraziano tutti coloro che contribuiscono allo sviluppo ed alla crescita del sito "Costiera Barocca"
|