Il regno di Hybla
Quando i Sicani si spostarono verso l’interno abbandonando la costa ionica, perché minacciati da popoli invasori, la natura sugli Iblei era ancora abbastanza integra: i boschi di leccio e di platani orientali erano stati appena intaccati dalle prime popolazioni del neolitico e dell’età del bronzo antico, le quali si erano insediate in prevalenza presso la costa. Della precedente civiltà di Castelluccio che praticava l’agricoltura, l’allevamento e la caccia a daini e cervi, rimangono tracce dei villaggi fortificati allo sbocco delle “cave” (canyon), su approdi naturali della costa e in posizione strategica per il controllo di vie di comunicazione, per esempio su monte Casale (in realtà monte Erboso), un rilievo poco più basso di monte Lauro.
A questa migrazione che aveva visto nuove genti, i Siculi, attraversare lo Stretto, corrisponde il primo insediamento a Pantalica, roccaforte naturale, delimitata dai canyon dell’Alpo e del Calcinara. Nonostante ciò i Sicani furono spinti sempre più ad ovest, per le frequenti eruzioni dell’etna ed i terremoti, secondo le leggende, ma in realtà per l’azione degli invasori.
Per gli stessi motivi di difesa successivamente furono i Siculi a scegliere il massiccio di Pantalica. Ha inizio così il regno di Hybla, che si protrae per sette secoli.
Hybla, la città sicula governata dagli uomini più valorosi, era una piccola città-stato, che controllava un vasto territorio, dal monte Lauro fino allo Ionio. Viveva di agricoltura, della caccia alla grossa selvaggina rimasta, della pesca alle trote. Parte della popolazione si dedicava all’artigianato, alla lavorazione della ceramica e dei metalli. E dulcis in fundo il miele. “Il miglior miele è quello dei colli di Hybla” diceva uno scrittore latino, riferendosi al miele di timo, ancora oggi prodotto esclusivamente sugli Iblei. Le vaste necropoli sulle pareti rocciose del Calcinara e dell’Anapo sono la testimonianza dello splendore di Hybla-Pantalica.
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Il grandioso Palazzo del principe (Anaktoron), di cui restano le fondamenta di grossi blocchi calcarei, domina la valle dell’Anapo. E’ la sola traccia della città. Il villaggio abitato dai Siculi non è stato ancora trovato. Ma spostiamoci sul monte Lauro, sacro ai siculi che ne veneravano gli alberi di alloro. L’altopiano di monte Lauro (monte dell’alloro), terra di pascoli e armenti, è un platea vulcanico, formatosi in seguito alla fuoruscita di lava da spaccature dei tavolati calcarei. I pascoli mesofili caratterizzati da avena siciliana, avena meridionale e da varie specie di trifoglio, hanno preso da tempo il posto delle antiche selve. Ben nascosto dai rimboscamenti di pino marittimo, pino da pinoli e pino insigne, si conserva un residuo della primitiva vegetazione forestale: il bosco di cerri più meridionali d’Italia. Ebbene, su questi pascoli si trova tuttora qualcosa di molto simile alle capanne sicule. Sono i capanni pastorali in pietra, che si richiamano alla tradizione dei pastori guerrieri indo-europei.
Ma questo stato di cose era destinato a mutare. L’ultimo re della città fu Hyblon, ricordato dagli satirici greci perché permise ai Megaresi di fondare nel suo territorio una colonia, Megera hyblacea. La fine venne dal mare. Un mare che aveva rappresentato la possibilità di scambi, di crescita, da sempre.
Oggi pochissimi sono i tratti di costa risparmiati dal cemento e dal petrolchimico: la costa rocciosa di Brucoli, la penisola della Maddalena (che conserva uno splendido palmeto) e poche altre località. Questa stessa costa da cui le vedette sicule scrutavano il mare è stata smembrata, staccata dai monti.
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L'arrivo dei Corinzi
Con l’arrivo dei Corinzi, guidati da Archia, viene fondata Siracusa ed in breve una colonia, Akrai. I Siculi si rifugiano nel territorio compreso tra Ragusa, Modica ed Ispica. Akrai dalle fredde colline ha ora il compito di controllare l’alta valle dell’Anapo. Dell’antica città greca rimangono molte vestigia, tra cui il teatro ed i Santoni, sculture rupestri del III se. A.C., testimonianza del culto della dea Cibale, la Magna Mater. Erede della città greca è Palazzolo Acreide. Nelle strade dall’andamento irregolare, su cui si affacciano eleganti palazzi signorili con balconi a mensole figurate, si nascondono interessanti chiese. La cucina locale è specializzata nei “cavateddi”, nella salsiccia e nei prodotti della pasticceria.
Nel lato opposto della valle dell’Anapo, per contrastare i Siculi, viene fondata Kasmenai sul monte Erbesso, da cui è possibile controllare ben tre valli, quelle dell’Anapo, del tellaro e dell’Irminio. Dopo la distruzione da parte dei Romani il sito non viene più abitato.
Con i Greci inizia un massiccio prelievo di legname ed un maggiore disboscamento. Nelle terre assoggettate da Siracusa, dove lavorano i Siculi fatti schiavi, venivano prodotti grano, olive, vino, frutta, noci, ortaggi, formaggio, miele, prodotti che, insieme alla cacciagione, venivano esportati in Grecia e nel bacino del Mediterraneo. L’acqua del Calcinara venne condotta a Siracusa con lo scavo di un canale nella roccia, cui parteciparono schiavi cartaginesi catturati nella battaglia di Imera. Furono in parte bonificate le paludi Lisimelie, oggi le saline di Siracusa, che ospitano molti uccelli migratori, a due passi dal tempio di Giove.
Segue un periodo di decadenza con i Romani ed i Bizantini. Mentre Siracusa gode di una certa ricchezza tanto da divenire per un breve periodo capitale dell’Impero Romano d’Oriente, l’area montana viene occupata da agricoltori e pastori. E’ un periodo ancora poco conosciuto di cui ci restano le necropoli paleocristiane di Lardia (Sortino), S. Anna (Ferla) e la Grotta di S. Pietro (Buscami), la più imponente chiesa rupestre iblea.
Altrove negli Iblei vengono realizzati edifici rupestri fino a otto piani. I “ddieri”. Motivi difensivi spingono (ancora una volta!) queste comunità a rifugiarsi a Pantalica, dove vengono abitati tre villaggi, detti bizantini. E’ un periodo in cui si ha il sopravvento della natura sull’uomo.
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L'arrivo degli Arabi
Con l’arrivo degli Arabi, quando si originano Cassano e Buscami e antiche popolazioni si raccolgono a Buntarigah (Pantalica), a Buccheri e a Balansul (Palazzolo), l’agricoltura diventa più razionale. Vengono abitate le campagna, coltivate in modo intensivo e viene sottratto spazio ai boschi.
Con il feudalesimo le comunità si organizzano intorno ai castelli in posizioni difensive. Mancano sugli Iblei delle vere e proprie rocche, con l’eccezione di Buccheri, “la più formidabile fortezza del Val di Noto” (Fazello), di Licodia Eubea, con il castello montano ibleo più conservato e di Mineo. Pertanto i castelli vengono costruiti sui bastioni calcarei (“i cugni”), delimitati da due cave confluenti. E’ il caso del castello di Xurtinu (Sortino), sito tra la Cava del Marchese e la valle del torrente Ciccio. Il paese sito nella valle del Ciccio viene raso al suolo dal terremoto del 1693. Un destino condiviso da tutti i centri della Sicilia sud-orientale.
La ricostruzione vede il territorio uniformarsi sotto i canoni del tempo: il barocco. I paesi conservano splendide testimonianze, nate dal genio di architetti e dalla maestria di artigiani-artisti. Nei paesi vengono tracciate strade tra loro perpendicolari, tuttavia conservano un impianto urbano medievale Palazzolo e Buccheri, oltre a Monterosso, Vizzini, Mineo in altri versanti Iblei.
Ma cosa rimane dei Siculi, della natura ancora selvaggia con cui furono costretti a confrontarsi? Queste domande possono trovare una risposta nella Riserva naturale “Pantalica-Valle dell’Anapo”, ricadente nei territori di Sortino, Cassano e Ferla. Togliendo gli ulivi, i carrubi, i mandorli, gli agrumi, che furono introdotti in seguito, del mondo siculo rimane il formaggio pecorino dei pochi greggi rimasti e il miele, fino a poco tempo fa prodotto con gli stessi metodi di Hybla, impiegando per esempio arnie costruite con la ferula. A Sortino, dove si concentra la maggiore produzione di miele degli Iblei, la prima domenica d’ottobre si svolge la sagra del miele, un’occasione per gustare il liquore di miele. Rimangono molte altre cose, parole, oggetti di uso quotidiano, costumi, mantenuti dalla civiltà agro-silvopastorale ed oggi in via si scomparsa.
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