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apolline 
da "Porto Ulisse e la Città di Apolline" del Prof. Sesto Bellisario  
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Presentazione  
Il lavoro del Prof. Bellisario, insigne studioso della città di Ispica, è una miniera di notizie storiche ed archeologiche sulla parte della fascia costiera ispicese che ha presentato e presenta ancora giacimenti archeologici di grandissima importanza: Porto Ulisse e Punta Castellazzo.  
Lo studio certosino del Prof. Bellisario, che ha portato alla sua ennesima pubblicazione, rappresenta in assoluto il primo lavoro di sintesi delle conoscenze di questi siti sia dal punto  di vista storico, sia dal punto di vista archeologico e geo-topografico. Per questo assume una straordinaria importanza. Intanto il suo studio ha portato alla conoscenza e segnalazione di numerose tombe della necropoli di Punta Castelazzo e dell'antica città di Apolline. La zona in effetti aveva avuto in passato scarso interesse dagli studiosi locali e dalla Sovrintendenza di Siracusa, ma sono rimasti i vincoli, gli studi, la mummificazione del territorio. Non è stata mai fatta una campagna di scavi sulla terraferma e nel mare antistante. 
Il prof. Bellisario con l'opera "Porto Ulisse e la Città di Apolline" esalta i suoi studi, esalta la storia del territorio e la cultura del posto. Pungola "tutti i responsabili" ad interessarsi per questo singolare e meraviglioso angolo della Sicilia Sud Orientale. 
Dott. Rosario Gugliotta
 
Città di Apolline 
Questa parte della Sicilia Sud Orientale, compresa tra il promontorio di Pachino e Punta Castellazzo, fu sempre ambita dai vari popoli che, dai tempi immemorabili, si sono insediati in questi luoghi ameni. 
Le fonti storiche, che qui testimoniano presenze di gente in ogni epoca, sono moltissime e tutte concordano nell’ammettere l’esistenza fin dai tempi più remoti di un funzionale ed attivo scalo marittimo (Porto Ulisse), di una città antichissima lungo il perimetro portuale (Apolline), e di una grande fortezza eretta sul promontorio di (Castellazzo), a difesa dell’entroterra e del porto. 
In questi posti si insediarono, vissero e prosperarono numerose comunità di gente venuta dal mare, abituata alla pesca ed ai commerci.
Il promontorio di Punta Castellazzo
Subito dopo la grande spiaggia di Santa Maria del Focallo, oltrepassati gli scogli di Punta Cirica e gli stupendi faraglioni poco distanti, s’incontra una lingua di terra che si proietta sul mare verso Mezzogiorno e delimita la parte occidentale della baia di Porto Ulisse. E’ Punta Castellazzo. 
Anticamente la sua estensione doveva essere molto superiore all’attuale, sia in lunghezza che in larghezza. Probabilmente si allungava sul mare 300-350 metri ed era larga quasi 120 metri. Oggi, secondo la mappa catastale, misura circa 250 metri di lunghezza ed 80 di larghezza massima.  
punta castellazzo
Durante la dominazione romana qui esistette un’importantissima “statio”, cioè un luogo di sosta e un “refugium”, un approdo per le navi, come attesta l’Itinerarium Antonimi. Nel periodo medioevale qui fu costruito un imponente castello, probabilmente su una preesistente costruzione. Dopo i Romani, molti altri popoli hanno posseduto questo posto ambito: i Vandali, i Goti, gli Arabi, i Normanni, gli Spagnoli, i Francesi, che in tempi storici diversi si stabilirono in questa penisoletta, la quale ad un tempo assicurava protezione e rifugio. 
Una fortezza qui probabilmente quindi fu costruita dai Fenici e dai Greci, nella parte più esposta a Mezzogiorno, per la difesa dell’entroterra e dell’adiacente Porto di cui la penisoletta costituiva il braccio occidentale. Questa costruzione fu via via ingrandita e rafforzata dai popoli che qui si insediarono di continuo, fino a raggiungere nel periodo normanno una dimensione ragguardevole. Nei secoli successivi il muro di cinta fu completamente eliminato ed i blocchi dell’antico castello furono trafugati per la costruzione di case private o di ville patrizie. Resti di queste mura furono viste fino ai primi del 1900. Nel 1800 e nel 1900 Punta castellazzo servì da povero rifugio alla barche dei pescatori soprattutto nella parte orientale che riparava la spiaggia dal dominante Ponente. Nella seconda metà del 1900 diventò zona militare e vi fu costruito un eliporto, tuttora funzionante. 
Ultimamente questo “Promontorio” è venuto alla ribalta dell’attenzione nazionale per la scoperta di una necropoli, forse risalente al periodo punico. Alcune piccole tombe a fossa sono state demolite dai marosi, altre nove, di forma antropoide all’interno, sono state aperte dalla Sovrintendenza di Ragusa nel mese di novembre 2002  e presentano caratteristiche mai notate in questa zona. Nella parte esposta a Oriente della penisoletta si notano strati rocciosi di varie epoche, ricchi di ceramiche di diversa fattura. In alcuni tratti emergono tracce di incendi risalenti a peiodi molti antichi. Del resto tutto il mare circostante è ricchissimo di reperti preziosi, alcuni dei quali sono stati recuperati. Qui sorse la città di Apolline, come testimonia Fazello. La città si estendeva anche lungo tutto il poggio di fronte alla penisoletta, su un declivio situato tra l’attuale caserma della Guardia di Finanza, il Pantano Bruno e Punta Castellazzo. Non esistono più resti di questo insediamento, ma una adeguata campagna di scavi potrebbe riservarci molte sorprese.   
 
Necropoli-panorama scavi
 
necropoli di Castellazzo 
 
 
 
 
Il tempio
Probabile nome dell'antica città: "Apolline" 
Sicuramente qui, dunque, sorse una città di origini antichissime. Molto importante e strategicamente ben ubicata, atteso che si trovava a gestire uno dei più grandi porti della Sicilia Sud-Orientale, appunto Porto Ulisse, e su una delle rotte più battute dell’antichità per i commerci tra la Grecia, Malta ed i paesi dell’Oriente e dell’Africa. Ma qual'era questa città “famosa e bella” di cui parla Fazello? Qual’era il suo nome? Tutti gli studiosi sono concordi nell’identificare tale città con “Apolline”. 
E’ probabile che tale nome possa essere stato imposto dalle prime comunità greche che si insediarono qui attorno all’VIII secolo a.C., atteso che in onore di Apollo Archegete, secondo la testimonianza di Tucidide, veniva innalzato un tempio quando si procedeva alla fondazione di una colonia. E la presenza quì di un tempio dedicato ad Apollo è attestata da tutte le antiche fonti storiche. E sicuramente al tempo dei Romani tale città dovette essere molto fiorente ed attiva, come pure il suo scalo marittimo, situato a pochi metri dal perimetro della città: Porto Ulisse, chiamato da Cicerone Odysseae Portus.  Una zona altamente commerciale, visto che quì confluivano tutti i prodotti dell’entroterra, vino, pellami, carne, frumento, ecc., che venivano caricati sulle navi per essere venduti a Roma o in Oriente. Una città ricca protesa verso i mercati africani, italici ed orientali. La Sicilia centro meridionale, infatti, tra il II ed il IV secolo d.C., fu prescelta dai Romani come terra di delizie e di sfruttamento terriero. Qui furono create innumerevoli fattorie ed agglomerati rurali con relative necropoli.  
A questo si deve aggiungere che sicuramente l’antica Spaccaforno (l’insediamento di Cava d’Ispica), distante dal Porto Ulisse e da Apolline meno di dieci chilometri, già al tempo della venuta dei Greci, e durante la dominazione romana, era certamente molto abitata, come attestano i resti degli insediamenti rupestri tuttora esistenti, per cui c’è da pensare ad un intenso traffico commerciale tra gli abitanti dell’interno verso la cittadina costiera il cui porto rimase attivo fino ai primi dell’Ottocento.
L'attività degli abitanti di Apolline 
Le prime comunità che si insediarono a Punta Castellazzo e usarono Il porto erano sicuramente dedite alla pesca, ma prevalentemente praticavano un intenso commercio con i popoli dell’entroterra e quelli di tutto il Mediterraneo. E infatti fu attivo lo scambio di merce pregiata proveniente dai mercati orientali e africani, come stoffe, armi, profumi, manufatti di ceramica, che veniva barattata con le materie prime, come cuoi, pellame, frumento, vino, olio, ecc…, prodotti di cui era ricca la Sicilia. 
I Greci, successivamente, oltre che a dedicarsi ai commerci, praticarono con perizia non solo la pesca d’altura dei tonni e dei pesci spada, ma anche l’arte della conservazione del pesce che esportavano in tutto il Mediterraneo. In tutta la Sicilia c’erano industrie artigianali per la salatura del pescato già dal tempo dei Fenici. E sicuramente a Pachino e Marzamemi esistette fin dai  più remoti tempi una costruzione per la conservazione del pesce. A Portopalo, dove esiste un’antica tonnara di proprietà Belmonte che viene ancora attivata periodicamente, anche se i tonni sembrano scomparsi da alcuni decenni, è tutt’oggi viva la tradizione marinara della conservazione artigianale del pesce. Successivamente, nel periodo romano, ebbe grande successo  
un preparato a base di pesce, il Garum, alla cui preparazione e commercializzazione sicuramente la popolazione di Apolline si dedicò attivamente, come facevano le comunità marinare di Marzamemi, Pachino e Portopaleo, oltre che di tutto il bacino del Mediterraneo. Il Garum ebbe una fondamentale importanza economica nell’antichità perché considerato una prelibatezza molto ricercata ma costosa. Era una specie di salsa ottenuta facendo macerare col sale in apposite vasche intestini di sgombri o di tonni, a volta mescolati con altri piccoli pesci. Nel periodo romano veniva usato come salsa da condimento, talvolta miscelato con vino, olio, aceto, acqua.  
Tutto il preparato veniva fatto ammollare nella salamoia per almeno due mesi al calore del sole, quindi veniva filtrato, ottenendo una parte pregiata e il “liquamen” di minor pregio. 
A Portopalo, nella spiaggia di fronte al “Forte”, Voza scoprì dei “silos” di cocciopesto dove veniva conservato il liquamen, per la preparazione del pesce salato e del garum. 
Questi contenitori, di forma rotonda e quadrata, ancora oggi possono ammirarsi, ma sono mal conservati in mezzo ad una sterpaglia che rischia di far perdere questi antichissimi reperti.
 
 
 
 
silos di cocciopesto
La nave romana rinvenuta a Porto Ulisse 
Nel 1962 alcuni operai che lavoravano nella parte orientale del “Pantano Longarini”, mentre eseguivano con mezzi meccanici la pulitura del canale principale per conto del Consorzio di Bonifica delle Paludi di Ispica al fine di facilitare il deflusso delle acque stagnanti verso il mare, trovarono un relitto di una nave antica che poi fu accertato essere bizantina. Tutto il terreno in cui venivano eseguiti i lavori di scavo fa parte della grande pianura depressionaria, dove una volta arrivava Porto Ulisse che, verso la fine del 1700, forse per combinati fenomeni di bradisismi e di insabbiamento, si impaludò dando vita all’attuale Pantano Longarini. 
Furono gli archeologi americani G. Capitan e P. Trock Morton dell’Università della Pensilvania, con la collaborazione di Bernabò Brea, che procedettero al recupero e alla catalogazione dei pezzi. Fu confermato che una placca lignea sulla quale era scolpita una testa equina e alcune lettere greche dipinte furono bruciate per errore dagli operai che eseguivano lo scavo. Ultimamente il relitto di Pantano Longarini è stato etichettato come "una chiatta costiera di straordinarie dimensioni impegnata forse per sviluppare l'economia della zona".  
Ora si attende che il Comune di Ispica appronti velocemente la sede in cui potrà essere esposta la nave dopo il restauro. 
 
 
Google
Web www.costierabarocca.it
 
 
REPERTI SCOPERTI A PORTO ULISSE (ISPICA) ED IN MOSTRA PRESSO IL MUSEO CIVICO BELGIORNO (MODICA) 
 
 
reperti 
 
collo di anfora romana (I sec. a.C.) 
collo di anfora di chiota (IV sec. a.C.) 
collo ed ansa di anfore medio-orientali (IV e VI sec. d.C.) 
collo di anfora del tipo ionico-massaliota (VI sec. a.C.) 
puntali di anfore (periodo romano) 
 
anfora iberica 
 
anfora iberica (IV e V sec. d.C.) 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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