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Tutto intorno è buio, pian piano si apre il sipario, sul palco la luce colpisce le corazze scintillanti. Il rumore delle spade irrompe nel silenzio, la morbida cascata di piume sopra l'elmo ne esalta i movimenti ed ecco che, mosso dal puparo, il pupo prende vita. Siamo nel cuore dell'antica Palermo, tra il teatro Massimo e il Museo Archeologico, in un quartiere pieno di suoni, di voci, di odori. È qui che vengono alla luce i pupi, qui che oggi come ieri è possibile assistere a uno spettacolo che rende una tradizione antica ancora viva. Proprio qui, in via Bara all'Olivella, si trova infatti uno dei pochi teatri dell'opera dei pupi ancora attivi in città, con una programmazione che va da gennaio a dicembre. È il teatro fondato nel 1973 da Mimmo Cuticchio, erede della storica famiglia di pupari palermitani che sin dall'ottocento in Sicilia non ha mai smesso di fare questo mestiere. "Nemmeno nei tempi più cupi" ricorda Elisa Cuticchio, moglie di Mimmo, che insieme a lui ha sposato pure la sua causa, come racconta sorridendo.
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In occasione della tappa romana presso il teatro Palladium nel mese di marzo 2008 abbiamo incontrato Mimmo Cuticchio, ultimo erede di due tradizioni antiche come quelle del cunto e del teatro dei pupi. Il maestro siciliano ha voluto inviare un saluto particolare a tutti gli amici di Costierabarocca.
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Il teatro di via Bara, un po' bottega, un po' museo - perché oltre agli spettacoli ospita anche una sala espositiva con più di mille pupi e i laboratori dove le caratteristiche marionette siciliane vengono realizzate - a Palermo è un'istituzione. Nato in controtendenza, quando gli altri chiudevano i battenti (negli anni '50 c'erano più di 50 teatrini in città), "per la concorrenza di cinema e tv, certo, ma di più ancora per la mentalità di quel periodo, la mentalità di buttare il vecchio per il nuovo, ha avuto invece grande successo. Perché con il ritorno alle tradizioni popolari oggi l'opera dei pupi non è più considerata superata, vecchia, ma antica, parte del patrimonio culturale. Tanto che nel 2001 l'Unesco l'ha dichiarata Patrimonio orale e immateriale dell'umanità". Così ogni sabato, con replica la domenica, nel teatrino di via Bara si ripete un rito antico e negli occhi incantati di un bambino - ma anche in quelli dei suoi genitori o dei tanti turisti che si fermano ad assistere a uno spettacolo - la tradizione si rinnova: si alza il sipario e la magia ha inizio. Ad essere rappresentate sono le storie dei paladini di Francia, in particolare il ciclo carolingio: sono le storie di Orlando, Rinaldo, Ruggiero, ma anche di Angelica, Bradamante, Marfisa, le coraggiose donne guerriere a cui il teatro Cuticchio dall'8 marzo all'8 aprile 2007 dedica una mostra.
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Ma il teatro di via Bara (091-323400), sebbene sia il solo sempre attivo durante tutto l'anno, non è certo l'unico in città. Ad esempio, passeggiando per Corso Vittorio Emanuele, più precisamente in vicolo Ragusi, ci si imbatte nel teatro Ippogrifo: qui le rappresentazioni avvengono solo occasionalmente. Per gruppi di turisti o per le scolaresche (091-329194). Da visitare assolutamente è anche il Museo internazionale delle Marionette di via Butera (091-328060), che raccoglie figure da tutto il mondo, oltre naturalmente ai pupi palermitani, catanesi e napoletani: in tutto circa 3500 pezzi. Qui, una sala è adibita per gli spettacoli dell'opera dei pupi. E le rappresentazioni in genere avvengono su richiesta, oppure in occasione del Festival di Morgana, in programma ogni anno a dicembre. E, ancora, nello storico quartiere della Kalsa, in via Torremuzza, c'è il piccolo teatrino del canto popolare Ditirammu. Con i suoi 52 posti a sedere, è uno tra i più piccoli in Italia. Accanto al teatro, è possibile visitare il nuovo Cantomuseo: una mostra permanente a ingresso gratuito ci trasporta nel mondo dei "cuntastorie", i primi a divulgare oralmente con il loro "cuntu" le avventure cavalleresche che ritroviamo nell'opera dei pupi. Per secoli, infatti, le storie messe in scena dai pupi siciliani hanno costituito l'unica fonte di istruzione e una delle poche occasioni di svago e divertimento per le classi più umili.
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Attraverso le avventure dei paladini francesi, i pupari raccontavano - e raccontano ancora oggi a bambini, ma anche adulti, che continuano a restare a bocca aperta - storie di coraggio, di ribelli che si battono contro un potere prepotente e in qualche modo riescono a vincere. Storie dove l'amore si affianca alla lotta per la giustizia, la fede al senso dell'onore. Storie ancora oggi attualissime. Perché, come scriveva Pirandello nel "Berretto a sonagli", "Pupi siamo... pupo io, pupo lei, pupi tutti". Ed è allora nella finzione che si fa realtà che va cercato il successo di questo teatro minore sì, ma ricchissimo di materiale scenico. "Per costruire un pupo ci vuole un mese", ci tiene a precisare Elisa Cuticchio. E poi esistono diverse tecniche di realizzazione: ogni puparo ha i suoi segreti, i suoi strumenti del mestiere. In particolare, bisogna distinguere tra i pupi palermitani e quelli catanesi. "I nostri sono più piccoli, alti circa 80 centimetri, e per questo più leggeri e snodabili. Quelli di Catania, al contrario, dove la famiglia storica che ancora opera è quella dei Napoli, sono più alti, possono arrivare a un metro e venti: sono più imponenti, vengono mossi dall'alto e sembrano persone vere quando sono in palcoscenico. Se lo spettacolo viene fatto bene è molto suggestivo. E loro lo fanno bene".
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