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La fornace Penna 
Contrada Pisciotto 
 
 
 
 
 
fornace penna 
 
 
 
archi 
 
 
 
strutture rimaste 
 
 
 
bifore 
 
 
 
vani in buono stato
La Fornace Penna è un monumento di archeologia industriale. Il complesso, ubicato nel comune di Scicli presso la contrada Pisciotto vicino al borgo marinaro di Sampieri, è noto col nome di Fornace Penna ed era destinato alla produzione di laterizi.  
La sua costruzione risale tra il 1909 e il 1912 su progetto dell’ing. Ignazio Emmolo e per desiderio del Barone Guglielmo Penna. 
Va tenuto presente che da qualche anno è stato ribattezzato dalla fortunata serie televisiva del Commissario Montalbano “La Mànnara”. 
 
 
 
Lo stabilimento, inserito nelle vaste proprietà della famiglia Penna, a cui interessava una forte diversificazione della tradizionale rendita capitalistica da esclusivamente agraria e latifondista ad industriale, divenne ben presto un’iniziativa all’avanguardia per i tempi, sia dal punto di vista architettonico che imprenditoriale. 
Il complesso sorse su un’alta scogliera al centro tra due spiagge, quella di Sampieri e quella del Ciarciolo del Porto Salvo (oggi Marina di Modica). Guglielmo Penna, scelse il sito di "Punta Pisciotto" a ridosso del mare, per i seguenti motivi: 
·      il fondale sufficientemente profondo da consentire l'attracco delle navi 
·      la presenza della ferrovia 
·      la vicina cava di argilla, a circa 200 metri, per la materia prima 
·      la disponibilità di abbondante acqua da una sorgente carsica locale.  
 
I forni nel XVIII secolo  
Verso la metà dell'800 in Europa e negli Stati Uniti si registrarono numerosi brevetti per nuove fornaci continue a circolazione d'aria discendente, due tipologie ancora in uso oggi nelle fabbriche di mattoni.Prima di queste tipologie di forni le fornaci erano di tipo a circolazione d'aria ascendente, il cui fumo veniva evacuato dalla sommità della struttura, in genere grazie ad una serie di sportelli. In questo tipo di forni il problema principale era l’uniformità dell’essiccazione: i mattoni sul fondo, a contatto con il fuoco, si riscaldano troppo, mentre quelli in alto solitamente risultano cotti in maniera insufficiente.Nei forni ad aria discendente questo inconveniente viene risolto introducendo aria calda nella parte alta della fornace e facendo defluire i gas di combustione dalla base attraverso una serie di griglie nel pavimento.La caratteristica esterna più evidente che distingue questi forni dai precedenti è l'alta ciminiera esterna, un dispositivo fondamentale per far circolare nel modo più efficiente i gas prodotti dalla combustione e per evitare che il fuoco fuoriesca dall'impianto. 
Il più semplice tra i forni ad aria discendente è il “forno ad alveare” di forma circolare con copertura a cupola ribassata, questo tipo di forno è detto ad intermittenza, perché ogni ciclo di cottura è costituito dall'introduzione del materiale quando il forno è freddo, dalla cottura graduale del materiale e dal successivo raffreddamento, dopo di che si può procedere allo svuotamento del forno, ripartendo con un nuovo ciclo.Però il limite di questo sistema è il numero di mattoni che si possono produrre a volta; un’alternativa a questo sistema è costituita dai “forni continui”, il cui primo esemplare fu realizzato da Friedrich Hoffmann in Germania nella seconda metà dell’Ottocento.  
 
L’abbandono ed il degrado dello stabilimento 
Il 26 gennaio 1924 per  la fabbrica fu una data speciale. Infatti fu distrutta nelle sue parti lignee da un incendio sicuramente d’origine dolosa, visto che nei mesi invernali la produzione veniva interrotta. Viene avvalorata l’ipotesi di una vendetta interna alle file fasciste, e da allora non è più stata rimessa in funzione. Ma il suo complesso è rimasto a testimoniare un tentativo di sviluppo e di industrializzazione mai compiuti e gli spazi a nord della fornace furono nuovamente utilizzati come in passato per la coltivazione della vite.In effetti ciò che resta dell’edificio principale è poco più che un rudere; ai danni causati dall’incendio si sono aggiunti quelli causati dagli agenti atmosferici, che si manifestano maggiormente nelle facciate più esposte ai venti, quella Nord e quella Ovest che dà sul mare. I solai, la copertura e gli infissi sono completamente assenti, essendo stati distrutti durante l’incendio. 
Una parte della ciminiera, già compromessa da un fulmine che l’aveva colpita qualche anno prima, è crollata all’inizio del 1989. Quella rimanente presenta numerose lesioni, mentre il basamento in calcare duro ancora resiste.L’edificio ai piedi della ciminiera è quasi completamente crollato.I macchinari e le altre parti metalliche, comprese le rotaie dei vagoni, furono rivenduti dopo l’incendio. 
Gli edifici di servizio a nord dello stabilimento, gli unici rimasti in discreto stato, anche se presentano delle strutture murarie ancora in buono stato, essendo crollate diverse parti del tetto, ne vengono utilizzati solo pochi vani. 
Ciò nonostante, è prorompente la sua immagine nel contesto ambientale in cui sorge impetuosa!   
 
 
 
l’abbandono!!! 
 
 
 
Descrizione 
Malgrado l’attuale stato di degrado è possibile per gli appassionati scoprire la suddivisione dei vari reparti che rendevano operativa la fornace. L’ingresso originario del complesso era posto sul lato nord ed era indicato da due pilastri in blocchi squadrati di pietra calcarea dura lavorata a bugnato (pietre sporgenti dal muro).Entrando dalla parte destra sono visibili tre vani: i primi due erano utilizzati per operazioni di magazzino, il terzo, attualmente crollato, era la rimessa. 
Il lungo caseggiato visto dall’alto prende la forma di “L” ed è lungo 50 metri e largo 12; presenta due settori differenti in altezza che venivano adibiti rispettivamente ad alloggi e ad uffici.Nella zona centrale si trovano i locali della fornace Hoffmann con le 16 camere di cottura disposte ad anello lunghe 5 metri ciascuna e larghe 3. Al loro fianco si trovano il vano motore, la sala macchine e a sud i vani destinati all’asciugatura: oggi sono visibili solo le tracce delle fondamenta, che dividono quest’area in lunghi corsi longitudinali. L’unica che rimaneva isolata era la casa del responsabile dell’opificio.L’intero edificio, costruito in blocchi di pietra locale utilizzando la tecnica del “muro a secco” (inusitato per un’architettura di tali dimensioni e spiegabile solo con la necessità di resistere alla salsedine ed ai venti di ponente), è un interessante gioco di equilibrio statico e architettonico. 
La fornace, completamente distaccata dal paesaggio agricolo circostante, può essere definita a tutti gli effetti un monumento di archeologia industriale, imponente quasi come le cattedrali medievali fiere del proprio campanile. Infatti la ciminiera, ormai erosa dai venti e parzialmente crollata, all’origine era alta circa 42 metri ma ancora oggi sovrasta l’intera costa rappresentando un segnale sia per i naviganti che per i viaggiatori terrestri. 
Le superfici murarie esterne sono formate da una successione ritmica di porte con arco a tutto sesto a piano terra e di bifore sovrastanti.  
Lo stile architettonico diviene probabilmente dal fatto che l’Ingegnere visitò il Policlinico Umberto I di Roma e quello di Milano.
fornace Penna
Funzionamento della fabbrica 
Tutto il ciclo produttivo della fabbrica a pieno regime riusciva a produrre fino a settemila pezzi al giorno (un primato) che venivano esportati in alcuni paesi del mediterraneo (tra cui Libia e Malta). La produzione principale si riferiva a laterizi di copertura, sia i tradizionali coppi che le innovative (per l’epoca) tegole marsigliesi. E questa imponente produzione era in grado di dare lavoro a più di cento operai per lo più giovani dai 16 ai 18 anni. Riuscì anche a sviluppare un florido commercio grazie alla vicina stazione ferroviaria di Sampieri e al fatto che le navi riuscivano ad avvicinarsi alla costa data la profondità dei fondali. 
L’argilla necessaria veniva estratta in una zona adiacente distante circa 200 metri dalla fornace, dove era stata avviata una cava della quale ora rimane un laghetto circondato da dune alte fino a sei metri. L’acqua invece era prelevata da una vicina grotta dalla quale sgorgava naturalmente.La sala macchine era in grado di ospitare due polverizzatori a martello, l’impastatrice ad eliche grandi rifornita da elevatori a tazze, due laminatoi con filiere per produzione gallette, laterizi forati e tegole curve o coppi e due presse per la produzione delle tegole. 
Tutto l’impianto veniva azionato da un unico motore a gas povero della potenza di HP 80. Completavano l’impianto un elevatore a planches, un montacarichi, un nastro trasportatore della lunghezza di 75 metri e vagoni a Deconville.Tutti i macchinari furono acquistati a Monza e altri in Germania, furono montati sul posto dagli operai locali, ma una volta montati nessuno riuscì a far partire l’impianto. Questo fu il motivo per il quale fu chiamato un fornaciaro direttamente da Monza. 
Il ciclo produttivo della fabbrica iniziava a maggio e finiva a settembre. Durante i mesi invernali la produzione veniva sospesa perché la cava di argilla si riempiva d’acqua.Nei piani alti dello stabilimento, dove lavoravano gli operai più esperti e dove c’era un sistema d’aerazione garantito dalle lamelle delle finestre, i forati venivano portati grazie ad un montacarichi e trasportati su nastro, da cui gli operai provvedevano a prenderli e a girarli con dei forchettoni per favorirne l’essiccazione; il materiale pieno invece era posto negli essiccatoi vicino alla ciminiera. 
Il carico destinato alle navi veniva trasportato sino a riva attraverso un sistema di rotaie su cui viaggiavano i vagoncini, poi era caricato su dei barconi tramite un pontile di legno. Per il trasporo via terra i laterizi venivano caricati su dei carri fino alla stazione ferroviaria di Sampieri. 
macchinari 
 
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