turismo e vacanze in Sicilia 
 
 
 
 
 
 
 
 
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La ricostruzione 
All' indomani del tragico evento ricominciò la ricostruzione del Val di Noto i cui esiti furono stupefacenti e regalarono al sud siciliano la magnifica veste barocca che l'ha reso noto in tutto il mondo. L' impianto barocco è straordinariamente omogeneo ed unitario a causa dell' unità di spazio e di tempo nel quale avvenne la ricostruzione. 
Prima di tale fase le chiese, i conventi ed i monasteri riprendevano le antiche gare per ricostruire in fretta ed in forme sontuose. In tutta la contea per la ricostruzione si affrontavano due differenti modelli di architettura ecclesiastica: il primo, cronologicamente più precoce ma stilisticamente più conservatore, ripeteva il consueto impianto basilicale attingendo al repertorio dei trattati tardocinquecenteschi (i cantieri di S. Pietro a Modica, di S. Giovanni a Ragusa e di S. Matteo a Scicli), mentre il secondo, con qualche decennio di ritardo, come spiega sempre Giuseppe Barone ne "L'oro di Busacca", inaugurava i temi della convessità delle facciate, le soluzioni piramidali e a torre, la spazialità complessa tipica dell'età tardo-barocca e della scuola di Rosario Gagliardi (i duomi di S. Giorgio a Modica e Ragusa, le chiese del Gesù e del Salvatore a Modica, le chiese e monasteri di S. Michele e S. Giovanni a Scicli). 
sequenza del terremoto 
Modica 
La domanda che si posero le comunità colpite dal terremoto fu se restare o abbandonare i luoghi terremotati: Modica rimase. In città si contarono 3400 morti. La ricostruzione non avvenne su una tabula rasa ma sulla base di quanto era rimasto in piedi e sulla possibilità del restauro delle architetture lesionate o crollate solo in parte, quantomeno nella prima fase tra la fine del Seicento e il primo decennio del Settecento. E’ durante il Settecento che si consolida la decisione di nuovi progetti ambiziosi pensati per città che avevano avuto una notevole espansione economica tra Cinquecento e Seicento e una contestuale espansione edilizia. 
Modica divenne il sito ideale dove attuare un vero e proprio esperimento scenografico, un piano urbanistico ai limite del fantastico, un progetto che prenderà forma pietrificandosi in scene di tenero calcare color del miele, il miele degli alveari iblei cari a Virgilio che canta la dolcezza di questo prodotto nella V Ecloga.  
Noto 
La città antica sorgeva sul monte Alveria , un'altura pianeggiante abitata fin dalla preistoria e bagnata dai fiumi Asinaro e Salitello . Dopo il tragico terremoto del 1693 venne ricostruita più a valle alla sinistra del fiume Asinaro, a circa 10 km dal mar Ionio. Nella ricostruzione vennero impiegati prestigiosi architetti dell' epoca e abili scalpellini che con la loro professionalità e abilità crearono un ambiente urbano di straordinaria bellezza, che si meritò l' appellativo di "Giardino di pietra" . Tra i monumenti barocchi più significativi segnaliamo: la chiesa di S. Francesco all' Immacolata , edificata agli inizi del ‘700 su progetto dell' architetto Sinatra. Splendido l' effetto scenografico che si crea col vicino Monastero del Salvatore. La Chiesa di Santa Chiara con annesso l' ex convento, opera di Gagliardi, a pianta ellittica, che presenta un alto campanile a pianta quadrangolare. La Cattedrale di San Nicolò la cui cupola è crollata il 13 marzo 1996. Proprio di fronte alla maestosa cattedrale si trova palazzo Ducezio, sede del municipio. Palazzo Landolina, dei marchesi di Sant' Alfano, una delle più antiche famiglie nobiliari netine. Chiesa di San Domenico, opera del Gagliardi. Chiesa di Montevergine e palazzo Nicolaci, solo per citare qualcuno dei numerosissimi monumenti che rendono Noto un vero gioiello barocco.  
Scicli 
Anche le origini di questa città sono antichissime, tanto che qualcuno pensa che si tratti dell' antica Casmene , mai identificata con sicurezza. La città in origine sorgeva sulle alture circostanti l' attuale Scicli, ed in modo assai graduale venne trasferita a valle a partire dalla seconda metà del XIV sec., trasferimento ultimato solo alla fine del XVI sec. I motivi di tale trasferimento vanno identificati essenzialmente nell' aumento della popolazione e con la penuria d' acqua che costringeva giornalmente gli abitanti a scendere a valle per i rifornimenti. Con il trasferimento a valle cominciò un periodo piuttosto difficile per Scicli che fu investita da continue calamità quali epidemie di peste, diverse invasioni di cavallette, siccità, carestie e non ultimo il tragico terremoto del 1693. Anche in questo caso la ricostruzione della città avvenne in linea col gusto prevalente del tempo e, quindi, in stile barocco.  
Ragusa 
Nel 1693 un terribile terremoto distrusse Ragusa (5000 morti) assieme a tutta la Sicilia sud-orientale (60.000 vittime in totale). La ricostruzione di Ragusa inizia subito e mentre i nobili (Sangiorgiari) preferiscono ricostruire sullo stesso luogo dove sorgeva prima, massari e borghesia (Sangiovannari) andarono a costruire sulla vicina collina del Patro. 
All'indomani del terribile terremoto del 1693, dopo aver dato degna sepoltura ai morti, recuperato dalle macerie ciò che si poteva ancora recuperare e fatto il conto degli ingenti danni, i cittadini di Ragusa, dovettero decidere in merito alla ricostruzione della città. La storiografia locale riporta che, in quei giorni, si tenne una sorta di Consiglio dei cittadini in cui vennero esaminate tre proposte: la prima prevedeva la ricostruzione delle case nello stesso sito della città distrutta, la seconda prevedeva lo spostamento dell'abitato nella contrada "del Patro", una spianata a poca distanza dall'antico centro, leggermente inclinata e delimitata da due stretti valloni, e la terza infine, prevedeva lo spostamento della città, verso il mare, nella contrada di Cutalia. Scartata subito quest'ultima, in quanto il sito era considerato troppo lontano, si discusse a lungo, attorno alle altre due ipotesi, senza tuttavia, giungere ad un accordo. Una parte dei cittadini, guidata dal ceto nobiliare, conservatore e legato alla tradizione, decise a ricostruire le proprie case nell'antico sito, mentre un'altra parte, guidata dal ceto borghese ed imprenditoriale, più ardimentoso e proiettato verso lo sviluppo della città, decise di costruirle nel nuovo sito "del Patro". Ad agitare le acque, contribuiva il contrasto di preminenze tra le due chiese principali, S. Giorgio, la matrice della città e S. Giovanni Battista, che vantava anch'essa antichi diritti matriciali. Visto lo stretto legame tra amministrazione civile ed ecclesiastica che vigeva in Sicilia a quel tempo, le preminenze religiose assumevano un elevato valore sociale e potevano essere facilmente strumentalizzate al servizio degli interessi dei gruppi in lotta per il potere cittadino. Ecco che le famiglie costituivano due partiti: i "Georgesi" o "Sangiorgiari" e i "Giovanniti" o "Sangiovannari", che si professavano "affezionati" dell'una o dell'altra chiesa, difendendone gli interessi, veri o presunti, conculcati dalla parte avversa. 
Ispica 
Prima del terremoto l'abitato era all'interno della cava d'Ispica nella parte finale. Si sono succeduti i Siculi, i greci, i romani, i bizantini, gli arabi e i normanni.  
Le nuove esigenze abitative e il rovinoso terremoto del 1693 sono all'origine dell'Ispica attuale che si è sviluppata limitrofa al vecchio sito, ma in posizione diversa con una struttura urbanistica di taglio tipicamente settecentesco, con una maglia stradale a scacchiera che coesiste con un impianto di tipo medievale con tracciati irregolari. "Quest'ultima area è adiacente ad una rupe dove sono i ruderi di una fortezza, nucleo principale della città che prima del terremoto del 1693 si sviluppava anche nella parte finale della Cava d'Ispica. La fortezza vide una vita particolarmente intensa in età rinascimentale. Dopo il terremoto se alcuni quartieri furono ricostruiti intorno alle chiese rimaste in piedi (seppur danneggiate) di S.Antonio, del Carmine, dei Minori Osservanti, gli altri furono tracciati ex novo sul colle Calandra con vie larghe e dritte, secondo il tracciato di due ingegneri venuti da Palermo al seguito di don Blasco Maria Statella" (P. Nifosi, Guida di Ispica - 1989). 
Palazzolo Acreide 
Nel 1623 la peste decimò la popolazione e nel 1693 un terremoto distrusse la città, che fu riedificata grazie alle elemosine dei fedeli e dei confratelli. Ultimata certamente tra il 1720 ed il 1730, venne ricostruita trovando nello stile barocco l'omogeneità architettonica più significativa. 
 
 
 
Modica 
 
1693: nasce il "barocco" 
« All'unnici di Jinnaru a vintin'ura a Jaci senza sonu s'abbalava cui sutta li petri e cui sutta li mura e cui a misericordia chiamava. » 
« L'undici di gennaio alle ore ventuno ad Acireale senza musica si ballava, chi sotto le pietre e chi sotto le mura e chi invocava la misericordia divina. » 
Il terremoto del Val di Noto dell'11 gennaio 1693 (ore 13,30) rappresenta, assieme al terremoto del 1908, l'evento catastrofico di maggiori dimensioni che abbia colpito la Sicilia orientale alle pendici dei monti Iblei in tempi storici. Con un'intensità pari a 7,4° della scala Richter è stato in assoluto il terremoto più intenso mai registrato nell'intero territorio italiano. 
L'evento sismico ha provocato la distruzione totale di oltre 45 centri abitati, interessando con effetti pari o superiori al X grado MCS (scala Mercalli)) una superficie di circa 5600 km2 e causando un numero complessivo di circa 60.000 vittime e raggiungendo in alcune aree l'XI grado MCS. 
"L'anno del Signore 1693, a nove di gennaio giorno di venerdì a hore quattro e mezza di notte fece un terremoto cosi grande che s'intese per tutto questo regno di Sicilia, e con tutto che havesse durato assai perché il moto fu regolato, danneggiò solamente Melilli et altre città e terre del Val di Noto nel cui territorio si subissarono molte torri situate in campagna. La nostra città di Scicli non ebbe altro danno che una casuzza nel quartiere dello Scifazzo senza danno delli habitatori, benché le fabbriche di molte case e palagi si risentirono e la madre chiesa di S. Matteo precisamente nella cappella del SS. Crocifisso. Ognuno stava timoroso della replica alle 24 ore, qual termine passato si credea non v'esser più periglio. Ma che! Alli 11 di gennaro, a hore 2  circa, giorno di domenica, fece di nuovo un terremoto cosi horribile non tanto per la durata - benché per altro fosse stato lungo per quanto un devoto che cominciò la litania della Beata Vergine arrivò a quelle ultime parole Regina Virginum - quanto fu per lo moto irregolare e saltellante, e veramente la terra nel mentre che faceva detto terremoto non solo si nacava ma si spinse in aria per tre volte come se avesse ballato, al che fu attribuito il gran danno che produsse". Dalla relazione storica sui disastri accaduti in Scicli dell'11 gennaio 1693, che l'arciprete Carioti come testimone diretto lasciò scritta in un registro di battesimi della matrice.  
Noto
La sequenza temporale  
La prima forte scossa (circa VIII grado MCS) della sequenza sismica che comprende questo terremoto arrivò improvvisamente la sera del venerdì  9 gennaio 1693 alle ore 21 circa. Crollarono numerosi edifici un po' dappertutto e vi furono vittime, altri edifici si lesionarono seriamente. Dato che il giorno dopo, il sabato, passò senza forti scosse, la gente si illuse che tutto fosse finito. La domenica mattina, 11 gennaio, alle ore 9 si ebbe una nuova forte scossa ed un'altra circa un'ora dopo. Ma l'evento principale (XI grado MCS), la tremenda e distruttiva scossa di 7,4° Richter, scoccò alle 13:30 provocando l'immane distruzione e l'innesco del successivo maremoto. Lo sciame sismico con le scosse di assestamento, anche forti, si protrasse ancora per circa 2 anni con un numero elevatissimo di repliche (circa 1500 eventi).  
 
Messina - 1908 
 
 
Le distruzioni e le vittime  
Il numero più elevato di vittime è stato registrato nella città di Catania nella quale sono morte 16.000 persone su una popolazione di circa 20.000, a Ragusa dove sono morte circa 5.000 persone su 9.950, a Lentini con 4.000 vittime su 10.000 abitanti, ad Occhiolà (l'antica Grammichele) che contava 2.910 abitanti e ne perirono il 52% e a Siracusa con circa 4000 vittime su 15.339 abitanti; gli altri centri ebbero dal 15% al 35% di morti rispetto alla popolazione residente, tranne Palazzolo Acreide e Buscemi che lamentarono la scomparsa del 41% degli abitanti.  
 
 
 
 
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