Nato come carro agricolo, il carretto siciliano è diventato, con il tempo, un tipico esempio di artigianato e pittura popolare siciliana. Secondo alcuni studiosi, gli esemplari più antichi risalirebbero al '700. Lo stato delle strade, infatti, non permetteva prima di allora l'uso dei carri ed ai trasporti provvedevano le bestie da soma.
Fino alla fine del settecento il carro aveva solo una mano di colore (blu, grigio, giallo), stesa per assicurare una certa protezione. Poi qualcosa cambia. Lo racconta l’etnologo Giuseppe Pitrè: “I carretti, sopra un fondo generale di color giallo nei quattro scompartimenti delle due fiancate, portavano rozzi disegni di santi, di teste e di cesti con fiori e frutta in colore rosso e di fette di mellone.” Insomma, all’inizio il famoso carretto ha poco più di qualche ingenuo fregio. Poi arriva la necessità di migliorare il proprio sistema di vendita e così come si industriano caramellai e gelatieri, arrotini e bibitari, gli ambulanti pensano bene di attirare l’attenzione di bimbi e clienti con pitture sempre più elaborate e appariscenti. L’elemento scaramantico poi, conquista presto il trono: a San Giorgio che uccide il drago il posto d’onore, il pizzu, ossia il centro del travetto steso sull’asse delle ruote.
|
|
Nessuno degli artisti del pennello resta estraneo al grande movimento di elaborazione iconografica che inizia a prendere corpo trasformandosi nel giro di poche generazioni in un grande fenomeno di costume: dal pittore di cartelli per i pupari, con il suo folto corteo dei vari Orlando, Carlo Magno, Ruggero, Rinaldo, ai pincisanti e pittori di ex voto che rubano al repertorio religioso spunti e idee da trasportare sul legno, dando origine a delle vere e proprie correnti artistiche, con i carretti a catanisa, a sant’antunisa, a bruntisa.
Si realizzano così delle autentiche opere d’arte, chiamando a raccolta maestri ebanisti, abili ferrai ed eccellenti pittori, per coniugare amabilmente arabeschi in legno e rilievi in ferro battuto, lasciando il tocco finale a una moltitudine di ricami, ninnoli, pennacchi di lunghe bellissime piume colorate. Quindi, i carretti, nati come carri agricoli, diventano il più alto esempio di artigianato e pittura popolare siciliana.
Quando il carretto perde la sua funzione di mezzo di trasporto, i carradori trasferiscono le loro capacità decorative alle motoape (lape). E quando queste spariscono dalle strade, si va a ricercare altrove il modo di mantenere in vita una così radicata tradizione artistica.
La committenza è cambiata. Nel parco clienti figurano architetti e acquirenti stranieri, musei e enti locali. Al carretto siciliano è toccato reinventarsi in mille modi (le ruote hanno scoperto l’elettricità lasciandosi appendere a mo’ di lampadario; i pannelli hanno imparato a competere con quadri e arazzi sulle pareti di alberghi e residenze private, e le aste, quelle esili sculturine che sembrano totem da passeggio, sono finite per farsi contendere come pezzi da collezionismo).
I carretti interi, cercati in aperta campagna e sapientemente restaurati, trovano la propria collocazione ideale assieme a decine di altri pezzi (fiancate, casce, fusi, chiavi...) ripescate da chissà dove, o create di sana pianta. E sono autentici trionfi di colore, i carretti ancor oggi creati nelle poche e gloriose botteghe, dove la tradizione resiste, con una tenacia tutta siciliana.
Alcuni esemplari sono esposti a Palermo nel Museo etnografico Pitrè, dove sono raccolte tutte le più importanti testimonianze su usi, costumi e tradizioni siciliani.
|
E' vietata la riproduzione anche parziale senza l'autorizzazione della Redazione
Si ringraziano tutti coloro che contribuiscono allo sviluppo ed alla crescita del sito "Costiera Barocca"
|